Dobbiamo dire la verità: raramente abbiamo trovato un pezzo come questo tratto da "Ragusanews". Per scrivere in questo modo (è firmato con lo pseudonimo: Santhippe-Socrathe) bisogna conoscere davvero la storia della filosofia ed avere spirito, cultura ed intelligenza per riuscire a declinarla ed argomentarla in una forma così sottilmente - come dire - goliardica.E noi vecchi "tiratardi", figli della Piazzetta, queste cose le apprezziamo, le gustiamo intimamente.
Speriamo anche voi.
STORIA DELLA FILOSOFIA DEL PERNACCHIO
DA ARISTOTELE A CACCIARI
DA ARISTOTELE A CACCIARI
Il nostro doveroso omaggio va oggi alla Grecia, culla della civiltà occidentale. L'Ellade arcaica, in cui hanno visto la luce le arti, la letteratura, il teatro. E la filosofia. E proprio in questo paese, Eldorado della cultura, ha avuto origine questa branca fondamentale e imprescindibile nell'ambito della speculazione: la filosofia del Pernacchio. 'O pernàkios, argomento sotteso al pensiero dei più eccelsi philòsophoi, il cui cammino, attraverso deviazioni inevitabili nei vari paesi dell'Europa, traccia un fil rouge immaginario dalla sua fonte ellenica fino alla immortale Napoli.
Per gli Aristotelici il Pernacchio include il rapporto con gli altri. Ovvero, il Pernacchio è dialettica. Posso dedurre e indurre le cause che conducono al Pernacchio anche da solo, ma per esplicitare il contenuto del Pernacchio ho bisogno degli altri.
Platone sostiene che il Pernacchio è la causa finale, il motivo per cui avviene è il suo fine stesso; la causa finale di un Pernacchio è esternare l’idea del dissenso, dare forma alla critica esplicita; l’idea del Pernacchio è la causa finale del Pernacchio.
Epicuro distingue tra Pernacchio cinetico o in movimento, e Pernacchio catastematico o stabile. Ogni Pernacchio è di per sé un bene, ma non è detto che le sue conseguenze nel tempo siano vantaggiose per noi. Contrariamente ai cirenaici, che indicavano nel Pernacchio in movimento il piacere, ovvero, l'obiettivo da perseguire, Epicuro ripone il Fine nel Pernacchio statico o piacere catastematico. Solo nel Pernacchio catestamatico l’uomo risolve la completa soddisfazione del desiderio, che di per sè é piacere.
Per i dotti della semiotica il Pernacchio è quella cosa che, nella comunicazione, lascia il segno. Per Kant il Pernacchio é uscire dallo stato apparente di minorità intellettuale, divenire maggiorenni sul piano razionale e imparare a pensare con la propria testa. Kant definisce così il Pernacchio : l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso [ ... ] abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Il Pernacchio, dunque, riscatta l’uomo e la sua intelligenza. E nella sua Critica alla ragion pura egli dirà che il Pernacchio è l' unico mezzo a nostra disposizione per conoscere la realtà.
Con Hegel la fenomenologia del Pernacchio si sostanzia di una valenza idealistica: esso trova il suo fondamento nelle idee, nella mente dell'individuo. Hegel descrive il cammino che deve intraprendere il Pernacchio che, partendo dallo spirito, raggiunge la piena consapevolezza di sè e della realtà nella realizzazione fenomenica, nella sua esplicitazione: dal noumeno (l'idea) al fenomeno (la realtà). Tutto ciò avviene in tre fasi: la tesi, che afferma ciò che si conosce, l'antitesi, che mette in discussione ciò che si pensa di conoscere e infine l'apoteosi, l'esplosione della sintesi: il Pernacchio!
Ma il vero trionfo del Pernacchio avviene nel momento della filosofia positivistica, quando i pensatori, a partire da Comte, studiano scientificamente le sue potenzialità eudemonistiche.
Attraverso la legge deterministica applicata al Pernacchio si può creare una società felice. L'uomo, anche il più diseredato, l'appartenente all'infimo sottoproletariato urbano può, attraverso la causa- effetto del Pernacchio, conseguire la misura liberatoria della sua esistenza e la piena realizzazione di sè.
Per Marx il Pernacchio è epifenomeno dell’economia. Solo partendo dal Pernacchio è possibile spiegare il Capitale. Non è la coscienza di essere proletari che determina il Pernacchio, ma è il Pernacchio a determinare la coscienza del proletariato. Il Pernacchio serve a ricercare quelle condizioni necessarie che hanno reso inevitabile la condizione di servaggio (la causa) e che ne rendono non meno inevitabile il superamento (il fine). Il Pernacchio è la Sveglia dei popoli. Diventerà il motto del Partito Comunista, e sarà metabolizzato dalla Storia e dal pensiero dormiente di tutto il novecento fino al “Cominciamento” del filosofo dei nostri tempi, Massimo Cacciari, attuale Sindaco di Venezia; per Cacciari il Pernacchio non è solo il fine, la cosa ultima, ma è anche l’Inizio, ovvero, il Pernacchio è un continuum o, come dice Lui, “l’infinità” stessa della cosa nella sua inalienabile e intramontabile singolarità, in movimento”. Viene così confutata l’idea del Pernacchio statico d’Epicuro, riprendendo il paradigma cirenaico, o teoria del Pernacchio in movimento. Per tutti, da Aristotele a Cacciari, il Pernacchio è liberazione, è anche Sveglia dei popoli, è soprattutto Libertà. Per Eduardo, no! L’attore napoletano sintetizza 2.500 anni di pensiero filosofico complesso in un’unica e semplice enunciazione: il Pernacchio è una convenienza!
Il compito dell'artista, dell’uomo, consiste, in ogni caso speciale, nella pratica applicazione di questa legge d'intima, di assoluta, d'infrangibile convenienza, che è idea, fine, causa e piacere, Cosa Ultima, Inizio e Cominciamento, principio stabile e dinamico, soprattutto dialettica di libertà e di liberamento. Con metodo.
«Il Pernacchio deve essere di testa e di petto, ovvero deve fondere insieme cervello e passione, ragione e follia, vi posso anche dire, in tutta confidenza che il vero Pernacchio non esiste più, quello attuale, corrente si chiama pernacchia, è una cosa volgare, brutta, il Pernacchio classico è un’arte!
Eduardo: "Siamo.. tre o forse quattro a conoscerlo profondamente e praticarlo in tutta Napoli il che vuol dire in tutto il Mondo. Insomma il Pernacchio che dobbiamo fare a questo signore deve significare: “tu sì a schifezza, ra schifezza, ra schifezza, ra schifezza e l’uòmmene! Mi spiego?”…»
Solo nel momento felice del Pernacchio ogni uomo è vero.
Ecco qui la celebre "lezione" di Eduardo:
E' una clip da "L'oro di Napoli" (1954), un classico della storia del cinema tratto dalla raccolta omonima di racconti di Giuseppe Marotta (1947) e adattati per il cinema da Cesare Zavattini.
Dei sei episodi previsti, uno, "Il funeralino" fu escluso dal montaggio. Ogni episodio ha come interprete principale un nome di primissimo piano: Toto' ne "Il guappo", Eduardo De Filippo ne "Il professore" (questo), Sophia Loren in "Pizze a credito", Vittorio De Sica ne "I giocatori" e Silvana Mangano in "Teresa".
Il luogo dove è stata girata questa scena è nel bel mezzo del centro storico di Napoli, precisamente in Vico Purgatorio ad Arco. Oggi, il basso dove Eduardo recita, è in affitto, ed è un garage di motorini.
Regia: Vittorio De Sica.
Soggetto: Giuseppe Marotta.
Sceneggiatura: Cesare Zavattini, Giuseppe Marotta, Vittorio De Sica.
Produttore: Dino De Laurentiis, Carlo Ponti.
Visto che nomi hanno lavorato attorno a questa "scenetta"!
Post scriptum:
Sulla rete si trova l’M.L.P. (Movimento per la Liberazione del Pernacchio): qui.
Nel suo manifesto si legge fra l’altro: “Contro questa cultura dell'ovvio, della rissa e della truculenza, c'è una sola vera arma di difesa: il pernacchio. Il pernacchio è popolare, rivoluzionario, democratico. Uno solo, se fatto a dovere, delegittima all'istante il potere tronfio, il linguaggio truculento, il tecnicismo banale mascherato da politica.
Li stende tutti a terra lasciandoli attoniti e senza respiro. Questa cultura una volta era diffusa.
Chiunque parlasse, sapeva che nell'aria c'erano tanti pernacchi pronte a scaricarsi come un fulmine.”.
Questo un pot-pourri dei commenti.
Dissacrante e tremendamente liberatorio. Un pernacchio è una forma artistica di dissenso. Va coltivata e diffusa e quale maestro migliore di De Filippo? Ogni riferimento a fatti e fattacci recenti è dichiaratamente voluto. Invito ad accodarvi al pernacchio day...un modo come un altro per dissentire, mostrare distanza...ironizzare, dissacrare, satireggiare"...ridacchiare (che a ridere, di questi tempi, si fa peccato mortale), sogghignare, sghignazzare.
Ma sì...spernacchiare non sarà da signora...ma quando ce vò...ce vò!
Il pernacchio ha la stessa potenza e, forse, lo stesso suono delle Trombe del Giudizio, è una particella di espressività divina regalata all'umanità. La riprova è che viene usata spesso dagli uomini più vicini al divino: i pazzi, i buffoni ed i bambini.
E’ universale, possono farla uomini, donne, bambini e vecchi. È trasversale.
In molte occasioni è la soluzione ideale, perché sta a metà tra il linguaggio verbale e non-verbale, la voce e la prossemica, per scoronare situazioni, comportamenti...
Buona parte delle nostre sventure civili nascono dal fatto che non si spernacchia più, o non abbastanza. Siamo passivi, brontoliamo al bar, preferiamo delegare. Il pernacchio è critica ad alta voce, contestazione frontale, dissenso informato, consapevole, preciso, documentato, chirurgico. Il gesto, potenzialmente rivoluzionario, che unisce cervello e passione, come dice Eduardo. Anche a spernacchiare si impara. Ma la convinzione, quella nessuno la può insegnare.
Dal punto di vista linguistico:
pernacchio: vc. meridionale da vernaculum (in italiano: “vernacchio” nel D'Ambra, che lo attesta con G. B. De la Porta 1596), quindi volgare, plebeo.
“Vernacchio”, quindi, è un tipico gesto scurrile e molto antico, tanto è vero che lo descrivono Petronio nel Satyricon e Tito Livio nell' Historia magistra vitae. Molto più efficace di tante parole, in certe circostanze, il pernacchio napoletano è una vera e propria arte.
Andrea De Jorio a pag. 75 de “La mimica degli Antichi investigata nel gestire napoletano” (qui, su Google-libri si trova l'intero volume) dà la seguente definizione: “bocca gonfia d'aria e forzatamente chiusa, mano aperta e portata rovescia sul labbro superiore in modo che esso sia compresso dallo spazio che è fra l'indice e il pollice. Disposte così le dita sul labbro superiore e premendolo a replicati colpi, si viene a comprimere la bocca già oltremodo gonfia d'aria, la quale, forzata dagli urti interpellati, nell'uscirne a diverse riprese, farà gli scrosci, che sono quelli a cui si dà il nome di vernacchio”. Tale gesto è stato utilizzato anche nel cinema e nel teatro, specialmente dai celebri Totò e Eduardo De Filippo. L'idea di insulto e di oltraggio che gli si attribuisce nasce dalla somiglianza che il rumore del vernacchio produce con quello che il nostro corpo emette quando espelliamo l'aria chiusa nei nostri visceri.”.
Sulla rete si trova l’M.L.P. (Movimento per la Liberazione del Pernacchio): qui.
Nel suo manifesto si legge fra l’altro: “Contro questa cultura dell'ovvio, della rissa e della truculenza, c'è una sola vera arma di difesa: il pernacchio. Il pernacchio è popolare, rivoluzionario, democratico. Uno solo, se fatto a dovere, delegittima all'istante il potere tronfio, il linguaggio truculento, il tecnicismo banale mascherato da politica.
Li stende tutti a terra lasciandoli attoniti e senza respiro. Questa cultura una volta era diffusa.
Chiunque parlasse, sapeva che nell'aria c'erano tanti pernacchi pronte a scaricarsi come un fulmine.”.
Questo un pot-pourri dei commenti.
Dissacrante e tremendamente liberatorio. Un pernacchio è una forma artistica di dissenso. Va coltivata e diffusa e quale maestro migliore di De Filippo? Ogni riferimento a fatti e fattacci recenti è dichiaratamente voluto. Invito ad accodarvi al pernacchio day...un modo come un altro per dissentire, mostrare distanza...ironizzare, dissacrare, satireggiare"...ridacchiare (che a ridere, di questi tempi, si fa peccato mortale), sogghignare, sghignazzare.
Ma sì...spernacchiare non sarà da signora...ma quando ce vò...ce vò!
Il pernacchio ha la stessa potenza e, forse, lo stesso suono delle Trombe del Giudizio, è una particella di espressività divina regalata all'umanità. La riprova è che viene usata spesso dagli uomini più vicini al divino: i pazzi, i buffoni ed i bambini.
E’ universale, possono farla uomini, donne, bambini e vecchi. È trasversale.
In molte occasioni è la soluzione ideale, perché sta a metà tra il linguaggio verbale e non-verbale, la voce e la prossemica, per scoronare situazioni, comportamenti...
Buona parte delle nostre sventure civili nascono dal fatto che non si spernacchia più, o non abbastanza. Siamo passivi, brontoliamo al bar, preferiamo delegare. Il pernacchio è critica ad alta voce, contestazione frontale, dissenso informato, consapevole, preciso, documentato, chirurgico. Il gesto, potenzialmente rivoluzionario, che unisce cervello e passione, come dice Eduardo. Anche a spernacchiare si impara. Ma la convinzione, quella nessuno la può insegnare.
Dal punto di vista linguistico:
pernacchio: vc. meridionale da vernaculum (in italiano: “vernacchio” nel D'Ambra, che lo attesta con G. B. De la Porta 1596), quindi volgare, plebeo.
“Vernacchio”, quindi, è un tipico gesto scurrile e molto antico, tanto è vero che lo descrivono Petronio nel Satyricon e Tito Livio nell' Historia magistra vitae. Molto più efficace di tante parole, in certe circostanze, il pernacchio napoletano è una vera e propria arte.
Andrea De Jorio a pag. 75 de “La mimica degli Antichi investigata nel gestire napoletano” (qui, su Google-libri si trova l'intero volume) dà la seguente definizione: “bocca gonfia d'aria e forzatamente chiusa, mano aperta e portata rovescia sul labbro superiore in modo che esso sia compresso dallo spazio che è fra l'indice e il pollice. Disposte così le dita sul labbro superiore e premendolo a replicati colpi, si viene a comprimere la bocca già oltremodo gonfia d'aria, la quale, forzata dagli urti interpellati, nell'uscirne a diverse riprese, farà gli scrosci, che sono quelli a cui si dà il nome di vernacchio”. Tale gesto è stato utilizzato anche nel cinema e nel teatro, specialmente dai celebri Totò e Eduardo De Filippo. L'idea di insulto e di oltraggio che gli si attribuisce nasce dalla somiglianza che il rumore del vernacchio produce con quello che il nostro corpo emette quando espelliamo l'aria chiusa nei nostri visceri.”.
rp