Quando Martino era ancora un militare, ebbe la visione che divenne l'episodio più narrato della sua vita e quello più usato dall'iconografia e dalla aneddotica. Si trovava alle porte della città di Amiens con i suoi soldati quando incontrò un mendicante seminudo. D'impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. Quella notte sognò che Gesù si recava da lui e gli restituiva la metà di mantello che aveva condiviso. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro.
Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi, nell'Oratorio reale.
I Franchi la portavano come stendardo in guerra, davanti alle truppe, fidando nella protezione del santo patrono.
Ora, in latino: mantello, di dice cappa; ed il "matello corto" o "mantellino": cappella.
Quest'ultimo termine venne esteso alle persone incaricate di conservare il residuo del mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'Oratorio reale, che non era una chiesa, e che perciò fu chiamato cappella. Ecco perchè tutte le piccole chiese, oratori perchè destinate alla sola preghiera e non alla liturgia o altro, si chiamano: cappelle.
Ed i cori che si riunivano in oratori per studiare il canto specialmente quello liturgico, assunsero il nome che hanno tuttora, di "cappelle musicali" e poichè in questi oratori non v'erano strumenti per accompagnare il canto, ancora oggi per un coro "cantare a cappella", significa - appunto - cantare senza alcun accompagnamento strumentale.
Da Carlomagno la cappa di San Martino venne inviata all'oratorio palatino di Aquisgrana, che da allora si chiamerà, in francese Aix-la-chapelle; Aachen, in tedesco.
Dalla cappa di Martino prese nome, perfino, la dinastia reale francese dei "Capetingi" in quanto gli antichi re di Francia usavano rivestirsi, almeno nel giorno dell'incoronazione o nelle occasioni più solenni ed importanti, della "cappa" o "cappella" di S. Martino..
Nell'immagine l'episodio è raffigurato su un capitello del chiostro dell'Abbazia di St-Pierre-de Moissac in Francia. S. Martino è protettore di questa nazione e dell'Arma di Fanteria del nostro Esercito.
Ora, in latino: mantello, di dice cappa; ed il "matello corto" o "mantellino": cappella.
Quest'ultimo termine venne esteso alle persone incaricate di conservare il residuo del mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'Oratorio reale, che non era una chiesa, e che perciò fu chiamato cappella. Ecco perchè tutte le piccole chiese, oratori perchè destinate alla sola preghiera e non alla liturgia o altro, si chiamano: cappelle.
Ed i cori che si riunivano in oratori per studiare il canto specialmente quello liturgico, assunsero il nome che hanno tuttora, di "cappelle musicali" e poichè in questi oratori non v'erano strumenti per accompagnare il canto, ancora oggi per un coro "cantare a cappella", significa - appunto - cantare senza alcun accompagnamento strumentale.
Da Carlomagno la cappa di San Martino venne inviata all'oratorio palatino di Aquisgrana, che da allora si chiamerà, in francese Aix-la-chapelle; Aachen, in tedesco.
Dalla cappa di Martino prese nome, perfino, la dinastia reale francese dei "Capetingi" in quanto gli antichi re di Francia usavano rivestirsi, almeno nel giorno dell'incoronazione o nelle occasioni più solenni ed importanti, della "cappa" o "cappella" di S. Martino..
Nell'immagine l'episodio è raffigurato su un capitello del chiostro dell'Abbazia di St-Pierre-de Moissac in Francia. S. Martino è protettore di questa nazione e dell'Arma di Fanteria del nostro Esercito.
Per conoscere la storia dell'Abbazia e per conoscere come l'insipienza umana abbia quasi distrutto un'Abbazia del VII secolo (cioè quattrocento anni prima del Mille...!) costruita sulle fondamenta di una precedente del IV sec., si legga qui. Oggi il monumento è stato dichiarato "patrimonio mondiale dell'umanità" ed appartiene alle "Strade del Commino di Santiago di Compostela".
L'estate di San Martino
Nei primi giorni di novembre, San Martino è in viaggio per paesi molto freddi.
Il Santo passa sul suo cavallo coperto dal suo mantello.
Due poveri mendicanti, mal coperti nei loro poveri cenci estivi, domandano al forte e bel cavaliere la carità.
Egli sen'altro si leva il mantello, lo taglia con la spada in due parti e ne porge una al mendicante più vicino.
"E a me? - domanda l’altro mendicante -non date nulla signore?"
Martino allora, con la spada, taglia la metà rimasta del mantello e porge al mendicante la quarta parte del mantello intero.
Il primo mendicante ha metà del mantello, il Santo e l’altro mendicante un quarto del mantello ciascuno e così il sacrificio del Santo è inutile perchè, col freddo che fa, nessuno è ben riparto e tutti soffrono.
Allora il buon Dio comanda a Novembre di rasserenare il cielo e di mitigare l’aria per tutta la durata del viaggio di Martino.
E siccome Dio non ritira mai i suoi ordini, i primi giorni di novembre sono sempre rallegrati da un tepido sole. Noi chiamiamo quest’epoca l’ "estate di San Martino".
S. Martino e le oche.
In Italia, per tradizione, il giorno di San Martino si aprono le botti per il primo assaggio del vino novello, accompagnato dalle prime castagne.
Un tempo però in questo stesso giorno aveva termine, in molte zone del nord, l’anno lavorativo dei contadini. Se il padrone non chiedeva loro di restare a lavorare per lui anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e andare a cercare un altro padrone e un altro alloggio. Pure in città divenne abituale, per chi aveva un alloggio in affitto, cambiare casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” è diventato un modo per dire “cambio casa”.
Va ricordato anche che in passato il periodo di penitenza e digiuno che precede il Natale cominciava il 12 novembre e quindi, anche per questo motivo il giorno prima, per San Martino appunto, si faceva una grande mangiata d’oca o di tacchino; era una specie di capodanno contadino e l’oca era considerata il maiale dei poveri.
In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del Samuin celtico: l'oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell'aldilà.
Una curiosità: nella cucina tradizionale romana non vi sono ricette per cucinare l'oca, forse per ancestrale riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. D'altronde le oche che sorvegliavano il tempio della dea Giunone al Campidoglio riuscirono a salvare il colle dall'invasione dei Galli nel 390 a.C. dando l'allarme con le loro strida!
Questa tradizione di cibarsi dell'oca nel giorno di S. Martino affonda le sue radici nei secoli più antichi . L'oca costituì assieme al maiale la riserva di grassi e proteine durante l'inverno del povero contadino che si cibava quasi sempre solo di cereali e di grandi polente. Dopo gli egiziani sentiamo parlare dell'oca da Omero che ci narra che i Greci tenevano l'oca come allegro compagno d'infanzia, come guardiano. Anche i romani tenevano in grande considerazione le oche che servivano da guardiani notturni del tempio della dea Giunone nel Campidoglio. Le oche venivano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni meridionali per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano iecor il fegato e iecor ficatum quello grasso, da cui l'italiano "fegato".
L'oca fu sempre allevata anche nel periodo medioevale nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell'oca furono attorno al 1400 alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall'Europa del nord, nelle regioni settentrionale della penisola e quindi anche nel Veneto . Per motivi religiosi non potevano consumare carne di maiale, così i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciuttini d'oca. L'oca era cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell'ottocento. Risulta che fra i barbari che saccheggiarono Roma nel 390 a.C., sotto la guida di Brenno, il palmipede era pure "simbolo dell'aldilà" e guida dei pellegrini, ma anche della Grande Madre dell'Universo e dei viventi.
La zampa dell'oca veniva usata come "marchio" di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano Jars che in francese vuol dire oche.
San Martino
La nebbia a gl'irti colli
La nebbia a gl'irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de' tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.
Giosuè Carducci
